Come nasce l'idea di questo libro?
Io di mestiere mi occupo di parole, sono un lessicografo, mi diletto anche per professione con la parola, un altro appuntamento fisso per me è giovedì con la “Settimana enigmistica”. Per me la parola è qualcosa che mi circonda e danza dentro di me, ma che è dà importanza a quello che è il silenzio, quando la parola che è fatta sicuramente di un prima e dopo soprattutto di un non detto. Dalle nostre parti, in Val Gardena, c'è da sempre un crocevia di lingue, come il ladino, l'italiano, il tedesco, adesso l'inglese e i russi che stanno arrivando.
“il sorriso”. Io mi occupo anche di antropologia, che ricorre molto nel mio romanzo, e di simbologia e prima di inserire questi elementi nel racconto mi sonno affidato a fonti scientifiche. Chiaramente nel romanzo ad un certo punto me ne stacco, per scegliere forma più romanzata, anche di fantasia.
Che legame c'è tra il destino di Mattia e il tema centrale dell'opera: la lingua?
La sensazione che ho è che viviamo in un continuo profluvio di parole, fatto di urla e di strida, dove manca l'ascolto, dove praticamente diamo troppa importanza ad una sequenza di lettere che fungo da riempitivi, non espressiva. Alla fine il sorriso solcato di rughe di Mattia nel suo non dire ci comunica che si è impadronito di una lingua che non è chiusa dentro le parole; l'incontro alla fine con la fanciulla che gli porge degli stuzzicadenti rappresenta il passato e una chiave che lo porta a conoscere il forestiero che è dentro di lui.
Quale importanza ha la parola nei destini degli altri personaggi?
Svelo una cosa: io a un certo punto, soprattutto con un personaggio, ma anche con altri sono arrivato al punto che sono stati loro stessi ha buttarmi fuori dal romanzo, soprattutto una scocciatissima che era arrivata a bordo pagina e che ad un certo punto si rivolge all'autore, usando la “sua parola”. Io iniziato questo lavoro alla fine del 2009, ma mi sono subito accorto che non ne sarei mai uscito: ho riposto il manoscritto in un cassetto è sono andato via. Cole tempo ho ricostruito la struttura del romanzo e i personaggi e i personaggi mi sono venuti incontro. Quindi se qualcuno mi chiede se ognuno di essi ha un suo linguaggio, io gli dico che i personaggi ne sono coscienti fino ad un certo punto, perché si trovano al centro di un gioco tra positivo e negativo, qualcosa di destinato a divenire, come quindi i loro di esprimersi e di parlare.
Cosa sconvolge di più Mattia, portandolo al rifiuto di qualsiasi forma di parola?
Forse alla necessità di volere appiccare parole addosso alle persone, un corollario di parole che devi usare e che appiattisce tutto quanto. Facendo questo obblighi il pensiero di una persona a diventare corto, asettico, asciutto. Mattia si rende conto chiaramente che se mentre pensava di capir e riuscire a interloquire nel mondo in ci stava, ora si rende conto che se c'è qualcuno a sacrificare delle persone per tutto questo, la cosa diventa improponibile.
Che ruolo a Mentea, la sorella “acquisita”?
Mentea è l'emblema della continuità, che però si regge sul dolore e la sofferenza. Il “plagio” che ha subito le consente di ri-raccontarsi ancora.
E quello di Silvano, segregato “speciale”? Silvano è il forestiero che alberga dentro di noi. Quando noi veniamo al mondo ci appiccicano all'anagrafe un nome, poi un cognome che ti dà un retaggio di parentela che non scegli, che ti viene imposto. Questa identità del forestiero invece è un processo da svelare, ma in maniera definitiva, cioè un aspetto che ci è sconosciuto, ma che è pronto a rivelarsi.
Quali sono i suoi progetti letterari futuri?
Ho Iniziato da un po' a scrivere al prossimo romanzo, “Il Catturatempo”,un uomo appassionato d'arte che nel retrobottega aggiusta e acquista orologi, e poi una raccolta di racconti brevi “La panchina sull'albero”, dove due boscaioli, impegnati nel costruire un sentiero, si trovano davanti un albero che, prima di essere tagliato, si anima e racconta le storie che si sono dipanate ai suoi piedi.
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