Quale peso ha il giornalismo d'inchiesta in Trentino? C'è libertà di “movimento”?
(J.V.) Gli esempi ci sono, anche nel giornalismo locale. Diciamo che però tutto è lasciato alla libera iniziativa del singolo cronista. Fare inchiesta costa fatica. Si tratta di voler investire tempo. E la stampa è forse troppo spesso concentrata nel racconto dell’attualità. Certo ci sono delle eccezioni, anche guardando oltre i quotidiani.
Oltre all'incubo dello smaltimento abusivo di rifiuti tossici sotto la porta di casa, esistono altre piaghe da sanare che però non hanno ancora trovato il giusto rilievo tra i media?
(A.T.) Certamente sì. Il Trentino non è protetto da una campana di vetro ed è normale che - come avviene in qualsiasi altra parte del mondo - ci siano delle criticità o dei problemi sotto il tappeto. In generale - vista la velocità con cui si consumano le informazioni - il problema non è tanto dare il giusto rilievo, magari per un giorno o due o poi basta. Quello che conta è la continuità di informazione su certi argomenti di interesse pubblico.
Il fatto che per smascherare questi illeciti spesso ci si sia rivolti ad enti extraregionali, può significare che qualcosa all'interno del nostro “sistema trentino” qualcosa non funziona? Cosa andrebbe modificato e perché non vengono presi provvedimenti a riguardo?
(J.V.) Che qualcosa non abbia funzionato nei controlli provinciali è un dato di fatto. Altrimenti non si spiegherebbe l'intervento del Corpo forestale dello Stato di Vicenza. A non aver funzionato è stato proprio l'abc: il non aver raccolto le segnalazioni preoccupate dei cittadini, che alla fine si sono rivolti oltre confine. Quanto a che cosa si potrebbe fare, beh, la lista potrebbe essere molto lunga. Diciamo che la forestale provinciale non ha ancora - a distanza di quattro anni dalla inchieste che raccontiamo nel libro - seri poteri di polizia giudiziaria e ambientale. E che certi soggetti della pubblica amministrazione che avevano tenuto un comportamento eticamente condannabile sono rimasti al loro posto.
Nel libro, specie nel caso delle acciaierie di Borgo Valsugana, la figura dell'ex governatore Dellai appare abbastanza equivoca: qual è, secondo voi, il ruolo della Provincia in queste vicende?
(A.T.) A dire il vero a non uscire bene da tutta questa vicenda non è solo l’ex presidente della Provincia Lorenzo Dellai, ma anche Alberto Pacher (all’epoca assessore all’ambiente, vide di Dellai e ora governatore al suo posto). E, senza sforzarsi tanto, qualcosa si potrebbe dire anche sull’assessorato alla salute, in carico all’autonomista Ugo Rossi: nella ricchissima Provincia autonoma di Trento non è stato ancora fatto uno studio disaggregato, Comune per Comune, delle incidenze tumorali. Perché? Di sicuro non perché mancano i soldi, che vengono versati a milionate quando si parla di lavori pubblici. Per rispondere alla domanda, la Provincia, e quindi la politica, appare assente e, nel migliore dei casi, impreparata. Non ci sono condanne a carico dei funzionari Appa – Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente (la posizione di quattro di questi è stata archiviata perché non si è riusciti a dimostrare il dolo). Ma emerge uno stile nei rapporti tra una certa imprenditoria e una fetta della Provincia autonoma che lascia pensare, un rapporto “curioso” tra chi dovrebbe essere controllato e chi dovrebbe controllare”.
Le cave di Monte Zaccon e Sardagna sono ancora in attesa di una messa in sicurezza e di una bonifica, le diossine rilasciate dall'acciaieria sembrano essersi “volatilizzate”. Siamo davanti ad un'insabbiamento o ad una mentalità locale che spinge la popolazione a dimenticarsi dei torti subiti?
(J.V.) Le inchieste giudiziarie hanno fatto il loro corso. Non spetta a noi trarre giudizi sull’entità delle pene. Non c’è dubbio che, al momento, le sostanze depositate illecitamente a Monte Zaccon e a Sardagna, sono ancora là. Eppure i consulenti incaricati dal Tribunale si sono espressi chiaramente sul da farsi. Nel libro – dove si parla anche dei depositi di scorie industriali sotto i prati della Val di Sella - abbiamo raccontato solo i fatti. Certo, c’è uno stile giornalistico che rende “agile” la lettura. Ci sono nomi e cognomi delle persone, si parla dei retroscena (anche politici), ci sono intercettazioni inedite. E solo queste fanno accapponare la pelle. Abbiamo raccontato cosa è accaduto, cosa sta accadendo e cosa rischia di accadere. Il lettore che vuole capire capisce. Non occorre insabbiare, basta far calare il silenzio, per far scordare le cose alla gente. C’è chi vuol far dimenticare e chi vuole dimenticare. Il nostro libro è uno strumento per ricordare.
Ci sono dei progetti letterari per il futuro?
(A.T.) Ci sono sempre progetti per il futuro. Il lavoro a quattro mani è stato una grande esperienza. Eravamo già amici e questo impegno – di domenica, nei giorni liberi, di notte – ha saldato la nostra amicizia. Ci siamo trovati “sulla stessa lunghezza d’onda” sia nella fase di studio degli atti, che di confronto con i protagonisti delle inchieste giudiziarie, che di scrittura. Una sintonia che non è facile trovare tra colleghi. Un nuovo lavoro assieme? Perché no?
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