martedì 30 aprile 2013

Fagioli Magici: nel Parco Centrale sta spuntando qualcosa di strano…

Perché l'importante è anche accontentarsi. Quante volte ce lo siamo sentiti dire, quante volte non c'è mancato l'esempio. Non solo nel mondo dei “grandi”, ma anche nelle storie dei “più piccoli” possiamo trovare qualche esempio. Che dire della fiaba di Jack è il suo fagiolo magico? La conosciamo un po' tutti la storia del bambino che un bel giorno si accorge che uno dei semi di fagiolo comprati da un misterioso “omino” gli regala una “scala vegetale” verso la casa del ricco orco, che Jack saccheggerà di tutto il suo tesoro. La rivisitazione però che i Teatri Soffiati e i Finisterrae Teatri presenteranno al prossimo Trentino Book Festival, nella fresca cornice del parco centrale, rivolgendosi a bambini dai tre anni in su, ha giusto quegli ingredienti che possono renderla ancora più accattivante e coinvolgente. «Lo spettacolo ha un taglio decisamente avventuroso - commenta uno degli autori/attori Alessio Kogoj - oltre ad essere estremamente comico. La cosa forse più particolare, che lo distingue, è che sia io che Giacomo (Anderle ndr.) interpretiamo tutti i personaggi: cioè lo stesso personaggio lo faccio sia io che lui, la mamma ad esempio è interpretata prima da me e poi da lui, e questo vale anche per l'orco, l'orchessa, Jack, l'omino dei fagioli ...».

Marnie Campagnaro e Marco Dallari. Come "d'incanto" un tuffo nel "labirinto" dei libri illustrati

Il rosso avvelenato della mela di Biancaneve, il giallo bizzoso della parrucca di Geppetto, l'arancio impertinente delle trecce di Pippi Calzelunghe. I libri di figure e gli albi illustrati, in modo particolare, per decenni hanno avuto per i bambini e i ragazzi un fascino irresistibile, perché portatori di una carica dirompente, trasgressiva, sensuale. Capita però in questi ultimi anni, per una strana legge del contrappasso, che nei nostri bambini, figli bombardati dalla civiltà delle immagini, sembrino meno preparati a leggere e interpretare i libri di figure. Per questo motivo il libro “Incanto e racconto nel labirinto delle figure” (Erickson, pp. 271, illustrato, 2013) scritto a quattro mani da Marnie Campagnaro (M.C. nell'intervista) e Marco Dallari (M.D. nell'intervista), con l'intervento, nella seconda parte, di alcuni colleghi spagnoli, svela il valore della narrazione come pratica di cura, sottolineando il ruolo che gli albi illustrati hanno nello sviluppo della creatività dei bambini e alcune “dritte” per scegliere e proporre un libro di figure ad hoc.
Quale ruolo ricopre l'albo illustrato in un'infanzia come è quella odierna, indirizzata sempre più verso le tecnologie, come ad esempio i tablet e gli e-book?
(M.C.) Gioca un ruolo fondamentale. L'esperienza di lettura di un albo illustrato non sostituisce la lettura su tablet o di un ebook ma la integra. L'albo illustrato dà modo al giovane lettore di sviluppare le competenze narrative e l’alfabetizzazione visiva: soffermarsi sulle figure, avanzare, saltare pagine, ritornare sulle pagine lette, cercare dettagli visivi e ricondurli alla trama letteraria, senza l'impellenza o la frenesia di inseguire o scoprire gli accattivanti "effetti speciali" di un ebook o di un’app aiutano a maturare una modalità di lettura diversa, più riflessiva, più profonda. Sono due esperienze di lettura diverse, che possono serenamente convivere assieme.

Marco Forni: il limite e la forza delle parole non dette

A volte basta uno sguardo, non servono troppe parole. Quando poi queste sono “orfane” di significato, diventano contenitori vuoti, inutili, pura ricerca d'estetica. Per Mattia il passaggio alla parola diventa prima fame di conoscenza, con la stessa curiosità di un bambino che scopre il mondo, per poi essere risucchiato in una realtà dove la ricerca di una lingua “divina” da parte di una setta misteriosa che rapisce i neonati e li rinchiude in luoghi segreti, lo porterà a prendere coscienza poco a poco della sterile realtà che a volte le parole sono in grado di montare. Con “Una parola negli occhi” (Forme Libere, pp. 244, 2013) Marco Forni ci trascina all'interno di un romanzo dove tante piccole storie apparentemente scollegate si susseguono e si intrecciano in una vicenda intricata.
Come nasce l'idea di questo libro?
Io di mestiere mi occupo di parole, sono un lessicografo, mi diletto anche per professione con la parola, un altro appuntamento fisso per me è giovedì con la “Settimana enigmistica”. Per me la parola è qualcosa che mi circonda e danza dentro di me, ma che è dà importanza a quello che è il silenzio, quando la parola che è fatta sicuramente di un prima e dopo soprattutto di un non detto. Dalle nostre parti, in Val Gardena, c'è da sempre un crocevia di lingue, come il ladino, l'italiano, il tedesco, adesso l'inglese e i russi che stanno arrivando. Alla fine il romanzo in sé è un romanzo anche venato di giallo che ruota intorno alla lingua, una lingua perduta che per me non esiste ma al cui posto possiamo trovare una parola di sette lettere che ognuno può scrivere nella propria lingua ma che sul volto di un bambino si riesce a leggerla in un'unica lingua,

mercoledì 24 aprile 2013

Trentini: colpevoli di aver combattutto per la parte "sbagliata"

Ci sono tanti modi in cui rivalutare la storia. E in una terra di confine come la nostra giustificare cambiamenti di fronte nel corso di questa per molti decenni sono stati difficili da digerire. Sono negli ultimi anni si sta riprendendo in considerazione quella che per molto tempo è stata una “vergogna” da dimenticare e nascondere, l’esperienza di quei soldati trentini che hanno combattuto la Grande Guerra sul fronte orientale, arruolati nell’esercito austroungarico, spesso guardati con sospetto e disprezzo in quanto “Tagliani”, colpevoli di aver combattuto “dalla parte sbagliata”.
Tra queste iniziative si inserisce quella di Amedeo Savoia, con l’aiuto della musica klezmer del gruppo ZIganoff, dal titolo “Mia memoria …”, un collage di frammenti presi da alcuni diari di soldati ma anche di civili, tra cui molte donne, che hanno vissuto sulla propria pelle sofferenze, lontananze e privazioni. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Savoia, per avere un quadro d’insieme dello spettacolo.
Come avete raccolto il materiale e come si articola l’esibizione? "La raccolta del materiale è partita dal libro di Quinto Antonelli “I dimenticati della Grande Guerra – la memoria dei combattenti trentini (1914 – 1920)”, dove è stato fatto il grosso della selezione dei documenti conservati nel Museo Storico. Scritti che raccontano la guerra non solo dal punto di vista militare ma anche con lo sguardo dei profughi civili, delle donne. Lo spettacolo, quindi, si presenta come una recita accompagnata da video che riportano immagini e filmati originali della Grande Guerra, accompagnate dalla musica dei Ziganoff".

Per quale motivo ha deciso di creare un testo teatrale intorno a questo argomento … qualche suo parente che ha lasciato una sua testimonianza?
"
Ho scoperto, anche se non posso affermarlo con assoluta certezza, che una delle testimonianze appartiene a una donna che era praticamente una cugina di mia nonna.

Una ballata con la Balena Bianca sulle note di Vinicio Capossela

Un viaggio tra vascelli fantasma, equipaggi maledetti, sirene, madonne, balene pastori e menestrelli, sulle parole e melodie di Vinicio Capossela. In anteprima nazionale “sbarca” al Trentino Book Festival 2013 “Moby Dick: la ballata della balena bianca”, testo teatrale tratto dal romanzo di Melville, riadattato dall’Accademia d’arte teatrale di Verolanuova (Brescia), che è una summa di tutte le produzioni letterarie, musicali, artistiche che il libro (pubblicato nel 1851) ha ispirato fino ad oggi. Sul palco 28 attori, d’età compresa tra i 17 e i 40 anni, che tra frammenti di vele e corde racconteranno la spedizione mortale del maledetto capitano Achab attraverso gli occhi del narratore Ismaele, l'unico passeggero della nave destinato a sopravvivere ad un epilogo già segnato fin dall'inizio. «Volevamo affrontare i tormenti di quest'uomo (Achab ndr.) inquieto - commenta il regista, Pietro Arrigoni - che affascina per la sua fragilità nonostante la sua irruenza, un uomo che è determinato ma fragile nelle cose, un uomo contemporaneo, di un'attualità straordinaria, che ci fa capire come e cose si ripetano da un certo punto di vista. Il nostro è un teatro di parole e movimento, - continua – privilegiamo la bellezza della parola in teatro che aiuta a scavare il carattere psicologico delle relazioni».

venerdì 19 aprile 2013

Francesco Roat, lo sguardo di un bambino sull'Inferno Auschwitz

Infanzie violate tra i reticolati di Auschwitz. Come quella di Ruben, piccolo giudeo “cagasotto”, come lo deridono i suoi compagni di classe. Finché una notte l'Inferno gli apre le porte, dipanando lentamente, davanti ai suoi occhi, un male inconcepibile per la mente di un bambino. Con “I giocattoli di Auschwitz” di Francesco Roat (Lindau, pp. 292, 2013) riaffiora la storia del giovane ebreo meranese, marionetta tra le mani di ufficiale delle SS, un “salvato” per il suo talento con il clarinetto, e una sala che ha racchiuso per molto, troppo tempo, nella sua pancia ingorda l'unica testimonianza di un'innocenza violentata.
Come nasce questo romanzo? Prima di tutto mi preme ricordare che la mia storia prende spunto da un fatto storico vero. I primi ebrei italiani ad essere mandati ad Auschwitz furono proprio dei meranesi. Dopo l'8 settembre i tedeschi erano già presenti in questi territori e i meranesi i primi lungo il confine. Il secondo dato fa riferimento al fatto che sono stati realmente trovati dei giocattoli ad Auschwitz, non è nulla di inventato. Nel loro maniacale impulso nel classificare ogni cosa che passava loro sotto le mani, i nazisti avevano raccolto e catalogato i giocattoli “rubati” ai bambini appena arrivati al campo. Giocattoli che poi sono l'emblema di quell'infanzia negata. Io faccio parte della gente che scrive senza prefissarsi delle linee guida …

Marco Travaglio, Corrado Augias, Boris Pahor per la terza edizione (ma altri nomi sono in arrivo…)

La penna al vetriolo di Marco Travaglio, la critica attenta di Corrado Augias, la memoria storica di Boris Pahor, la bravura di Fulvio Ervas. Per la terza edizione del Trentino Book Festival, che accoglierà dal 14 al 16 giugno autori internazionali, nazionali e nostrani, nella cornice ormai storica di Caldonazzo, ce n’è per tutti i gusti e per tutti i “palati” (e altri nomi altisonanti sono ancora in trattativa…). Anche quest'anno un calendario ricchissimo di appuntamenti dove ogni aspettativa del pubblico troverà certo conferma nella lunga carrellata di personaggi che parteciperanno alla kermesse. Non mancheranno “sfide poetiche” e il un “sorso ” di “vino letterario” tradotto nelle pagine dei classici della letteratura mondiale. Nel frattempo Trentino Book Festival 2013 continua a coltivare la propria filosofia indipendente e i numeri delle passate edizioni confermano il successo di questa ottica: con 5mila presenze nel 2011 e 10mila l'anno scorso, il progetto ideato e promosso da Pino Loperfido dimostra come le persone abbiano sempre più bisogno di confrontarsi con la realtà e con chi interpreta questa, cioè gli autori e le autrici che anche quest'anno saranno chiamati in causa nel corso degli incontri e dei dibattiti che già hanno riscontrato successo negli scorsi anni. «Anche quest’anno cerchiamo una riconferma per la portata dell’evento – commenta Loperfido, scrittore e giornalista, direttore artistico della rassegna – anche perché parliamo di una seconda edizione davvero speciale.

domenica 14 aprile 2013

Con Roberto Pancheri facciamo un giro “nel castello di Praga”

Un frate pittore alla corte di Rodolfo II. Tra le stanze del castello “alchemico” di Praga un Capuccino veneto è l'ultima speranza del suo Ordine alle prese con una fittizia tolleranza religiosa. Roberto Pancheri con “Nel castello di Praga” (Curcu & Genovese, pp. 134, illustrato, 2012) ripropone una letteratura d'arte di qualità, raccontando la vita di Paolo Piazza, pittore veneto che per alterne vicende diventerà frate e sarà chiamato nella capitale imperiale per essere al servizio dell'ultimo grande sovrano rinascimentale, Rodolfo II, per realizzare un'Adorazione dei magi che nel corso degli anni data per dispersa, è stata proprio ritrovata dal Pancheri in una chiesa poco lontana da Vienna.
Cosa più l'ha affascinato di Piazza?
Questa suo ruolo di testimone della corte rudolfina. Ho pensato di “utilizzarlo” per introdurmi e introdurre il lettore in questa corte strabiliante, senza forzare la realtà storica, e allo stesso tempo usando questo escamotage narrativo per guardare questo mondo con i suoi occhi, immaginare i suoi giudizi.
Cosa l'ha spinta a mettere mano alla biografia al frate pittore di Castelfranco? 
Con Paolo Piazza ho avuto la possibilità di  raccontare la storia non di un grande maestro che trascende la sua epoca, ma di prendere “uno dei tanti”, perché forse solo in questo modo si può capire meglio lo spirito del tempo, col suo sguardo dell'uomo della strada, dove certi suoi giudizi non sono la folgorazione del genio che giudica dall'alto, ma uno sguardo orizzontale. Il castello di Praga è la scena principale del suo romanzo.