domenica 14 aprile 2013

Con Roberto Pancheri facciamo un giro “nel castello di Praga”

Un frate pittore alla corte di Rodolfo II. Tra le stanze del castello “alchemico” di Praga un Capuccino veneto è l'ultima speranza del suo Ordine alle prese con una fittizia tolleranza religiosa. Roberto Pancheri con “Nel castello di Praga” (Curcu & Genovese, pp. 134, illustrato, 2012) ripropone una letteratura d'arte di qualità, raccontando la vita di Paolo Piazza, pittore veneto che per alterne vicende diventerà frate e sarà chiamato nella capitale imperiale per essere al servizio dell'ultimo grande sovrano rinascimentale, Rodolfo II, per realizzare un'Adorazione dei magi che nel corso degli anni data per dispersa, è stata proprio ritrovata dal Pancheri in una chiesa poco lontana da Vienna.
Cosa più l'ha affascinato di Piazza?
Questa suo ruolo di testimone della corte rudolfina. Ho pensato di “utilizzarlo” per introdurmi e introdurre il lettore in questa corte strabiliante, senza forzare la realtà storica, e allo stesso tempo usando questo escamotage narrativo per guardare questo mondo con i suoi occhi, immaginare i suoi giudizi.
Cosa l'ha spinta a mettere mano alla biografia al frate pittore di Castelfranco? 
Con Paolo Piazza ho avuto la possibilità di  raccontare la storia non di un grande maestro che trascende la sua epoca, ma di prendere “uno dei tanti”, perché forse solo in questo modo si può capire meglio lo spirito del tempo, col suo sguardo dell'uomo della strada, dove certi suoi giudizi non sono la folgorazione del genio che giudica dall'alto, ma uno sguardo orizzontale. Il castello di Praga è la scena principale del suo romanzo.


Crede che possa esserci una certa rassomiglianza “manzoniana”  tra questi e il suo “inquilino”, Rodolfo II?
ll castello per lui è una fortezza dove rinchiudere i suoi tesori artistici e stranezze naturali; un luogo dove far lavorare alchimisti e ciarlatani. Un castello “alchemico” che lui lo vede come una specie di acropoli, alter ego di se stesso: lui misantropo, distaccato dalle azioni di governo, si rifugia in questo castello circondandosi di cose belle, strane e rare. L'immagine iniziale di un imperatore seduto ad un tavolo da falegname, indaffarato nello smontare un orologio, è abbastanza inedita.
Come mai questa scelta?
Mi sono un po' chiesto che effetto poteva fare ad un forestiero come Paolo Piazza l'incontro con l'imperatore e siccome di Rodolfo si parla di queste sue attività di costruzione di automi, all'epoca considerate poco consone alla nobiltà (figuriamoci alla casa reale!) me lo immagino al banco da lavoro come un bambino, che si circonda dei suoi giocattoli.
Da storico dell'arte, quale ruolo pensa possa aver avuto Piazza nella diffusione europea della pittura veneziana nel corso del XVII secolo?
Lui non è stato un'apripista,  ma si giova della grande fortuna pittura veneta del '500. Soprattutto perché in quel periodo il “potere” era nelle mani dei figli e dei nipoti dei grandi del passato. Ho voluto sottolineare nel libro questo ultimo aspetto per fare un parallelo con il mondo d'oggi, dove di solito a “fare fortuna” sono quei figli che hanno già le spalle coperte, e un po' insistere su chi – come Piazza – trova difficoltà nel farsi strada, arrivando dal basso.
Un altro personaggio importante nella storia una prostituta “d'alto bordo”, Fosca, che segna la crisi morale di Piazza e la sua “conversione”.
Fosca è frutto della mia fantasia, dovevo “spiegarmi” per quale motivo un pittore all'apice della sua carriera, raggiunti i 30 anni, decide di farsi frate. Questo nelle sue biografie non è scritto, quindi ho pensato ad un avvenimento traumatico, una crisi morale personale e ho inserito una delusione amorosa. Quando da sotto le finestre sente suonare il liuto capisce cosa deve fare, ed è lì che ho voluto fare un ardito parallelo.
Quale?
Cosa deve fare un uomo di bassa condizione per mettersi al riparto dalle tempeste del mondo? Prostituirsi al servizio di qualche causa o potere, intrupparsi, ed è per questo che se Fosca prostituiva il suo corpo, Piazza decise di prostituire il proprio talento come pittore nella sempre meno sotterranea guerra di religione.

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